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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

La corte ducale di Mantova, immersa nelle bellezze pittoriche di Giulio Romano e pittoresche delle nobili beltà ha accolto il 6 luglio, in una Arena di Verona calorosa e gremita, un nuovo Duca di Mantova e una nuova Gilda, che per una recita soltanto hanno dipinto due ritratti impeccabili dei personaggi.
Lo spettacolo di Ivo Guerra, con le scene di Raffaele del Savio e i costumi di Carla Galleri, si dimostra funzionale nel descrivere tutte le atmosfere della vicenda e nel dare risalto alla serrata drammaturgia di questo capolavoro verdiano.
Julian Kovatchev continua a privilegiare, anche in questa seconda recita (qui la recensione della prima), un tempo lento e dalle sonorità monotone. Così facendo non aiuta certamente i cantanti, che in “Bella figlia dell’amore” devono creare la magia da soli. Tuttavia riesce a tenere abbastanza bene l’equilibrio con il palcoscenico. L’orchestra suona bene, nonostante i pochi stimoli. Dobbiamo ribadire una volta di più l’eccellenza della compagine corale areniana.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Bene Omar Kamata (Usciere di corte), Lara Lagni (Paggio della duchessa), Marina Ogii (Contessa di Ceprano), Dario Giorgelè (Conte di Ceprano), Marco Camastra (Marullo).
Ottimi Francesco Pittari (Matteo Borsa) e Alice Marini (Giovanna), così come imponente (come volume) Nicolò Ceriani nel ruolo del Conte di Monterone.

Sempre bravissima nel ruolo di Maddalena Anna Malavasi, attrice disinvolta e vocalmente mai sopra le righe. Lo Sparafucile di Andrea Mastroni è come alla prima ben messo a fuoco, sicuramente aiutato da una natura vocale adatta. Il timbro è scuro e omogeneo in tutti i registri (una nota di lode per quello basso, sempre rischioso per questo personaggio), e l’emissione controllata.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Francesco Demuro conquista l’Arena e riesce bene con questo Duca dalla voce soave, chiara e lucente. Un’interpretazione quasi donizettiana che tuttavia non si concede a orpelli inutili, ed è tesa sul dramma. Controllato il fraseggio, come pure la tenuta del palcoscenico risulta assai coinvolgente.

Jessica Pratt è tornata in Arena con uno dei suoi ruoli più significativi, Gilda. Ed è stata una protagonista meravigliosa: piena di emozioni e di palpiti. È capace di assecondare sia il canto di coloratura (con un “Caro nome” stupendo) che la drammaticità del personaggio. Ne esce un ritratto freschissimo, vocalmente impeccabile. Il soprano, famosa anche per la perfezione del registro sovracuto, ha emesso puntature una più bella dell’altra, come quella nel finale della tempesta (non scritta e forse di cattivo gusto per alcuni), ma comunque lucente per precisione e nitidezza.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

La splendida voce baritonale di Amartuvshin Enkhbat possiede un timbro denso, cremoso e pieno, che gestisce con sapienza e a volte addirittura con eccesso di zelo tecnico. Non è sicuro a chi attribuirlo, se a lui o al maestro, ma certe lentezze nel monologo del primo atto sono parse un poco forzate. Il personaggio, va da sé, deve ancora costruirsi col tempo, ma il ritorno di questi primi approcci è del tutto positivo.

Francesco Lodola e Stefano de Ceglia

Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona

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