Quando abbiamo intervistato Antonio Poli la prima volta (qui per leggere l’intervista), abbiamo notato subito la schiettezza delle sue risposte, che lasciavano trasparire un amore sincero e appassionato per il canto: una personalità forte, ma ben decisa a servire la propria voce con un lavoro di raffinatissimo artigianato. La stessa passione che il tenore mostra nel raccontare un personaggio amato, come quello di Don Ottavio, che Poli interpreterà per l’inaugurazione della stagione al Teatro Filarmonico di Verona (27/29 gennaio 2019)…

Quali sono le emozioni di tornare a cantare a Verona dopo qualche anno da quella bellissima Traviata?
L’emozione è tanta visto che torno a Verona dopo cinque anni, riprendendo un ruolo che è stato quello del mio debutto operistico e che ora sento, sia vocalmente che artisticamente, molto più maturo.

Don Ottavio è un ruolo che hai affrontato in contesti registici molto forti (lo spettacolo veneziano firmato da Michieletto). Qual è la tua visione di questo personaggio e come sei riuscito a dargli dignità (si tratta di un ruolo spesso bistrattato)?
Per dare dignità a un personaggio c’è bisogno di farlo attraverso l’emissione vocale, il fraseggio e la parola scenica. Don Ottavio è tutto, fuorché un personaggio debole. È un nobile che non si abbassa mai ai livelli di altri personaggi. Se deve risolvere qualcosa lo fa attraverso l’autocontrollo e la disciplina. Oltre questo è un personaggio con una pazienza e una calma sconfinate. È vero, molto spesso viene bistrattato ma ancor di più non gli viene attribuita un’identità ben precisa, e quindi alla fine passa sempre per un personaggio senza personalità.

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©Schneider Photography

Sei reduce dal debutto del Duca di Mantova a Salerno e dall’Alfredo di Traviata (tuo cavallo di battaglia)al Teatro dell’Opera di Roma. Come riesci ad ottenere l’equilibrio stilistico tra questi due ruoli di Belcanto verdiano e il Belcanto mozartiano di Ottavio?
Cerco sempre di fare tutto rispettando i miei mezzi vocali. Sono un tenore lirico e il mio sarà un Ottavio lirico. Lo stile si crea attraverso l’eleganza e la nobiltà dell’emissione vocale, il fraseggio, le mezze voci e il legato. Molto spesso si pensa che per affrontare alcuni ruoli bisogni cambiare impostazione o colore vocale. Così facendo si dà solo insicurezza al personaggio.

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©Schneider Photography

Prossimamente sarai Tito ne “La clemenza di Tito” al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, ruolo che alla prima rappresentazione fu interpretato da Antonio Baglioni, primo Ottavio a Praga: quali sono le affinità tra questi due ruoli e come ti stai preparando per il debutto?
Con la consapevolezza di adesso vedo molta similitudine tra i due ruoli. Sono entrambi personaggi autorevoli. Hanno tutti e due colorature da cantare e arie diverse nelle quali si possono sentire diverse caratteristiche dell’artista che le andrà ad interpretare. Sto lavorando molto, non solo sulla parte tecnica e vocale ma soprattutto su come essere un Tito scenicamente credibile. A parer mio, è questo l’aspetto più difficile di questo personaggio.

Grazie a Antonio Poli e In bocca al lupo! 

Francesco Lodola

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