A pochi giorni dal primo anniversario dalla scomparsa della grande Mirella Freni, Modena dedica a lei e al compianto marito e basso Nicolai Ghiaurov una bella produzione in forma di concerto di Don Carlo, titolo di cui entrambi furono memorabili interpreti.

Oltre 100 giorni fa i teatri chiudevano nuovamente in tutto il Paese, dando inizio ad una nuova umiliante epopea per un settore che pur di non fallire (trascinando con sé la morte intellettuale dell’intera società) è costretto a reinventarsi talvolta sperimentando nuovi percorsi, talvolta implementandone di già conosciuti. Alla seconda di queste opzioni appartiene il progetto che i teatri dell’Emilia-Romagna stanno curando da ben prima che la pandemia iniziasse con il portale OperaStreaming, nato per trasmettere in streaming HD alcune delle produzioni in programma nelle sale della Regione e costruire così vere e proprie stagioni liriche online, usufruibili in tutto il mondo gratuitamente. Un lavoro di sinergia unico nel suo genere pensato per tempi “normali” ma che oggi si rivela quanto mai provvidenziale per mantenere vivo il filo che unisce pubblico e palcoscenico.

E’ dunque in questo contesto, interamente online, che si è trovato ad operare negli ultimi mesi anche il Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena, che con impegno e coraggio ha saputo portare in scena produzioni di assoluta eccellenza per qualità musicali e registiche. Dalla rara Dido and Aeneas di Purcell alla celebre Cenerentola di Rossini, passando per Werther con protagonista un debuttante Francesco Demuro, il rimpianto di non poter applaudire in sala non è mai mancato. Nemmeno questa volta, con il Don Carlo di Giuseppe Verdi, versione in quattro atti e in forma di concerto, a quasi un anno dalla scomparsa di Mirella Freni, indimenticata interprete del ruolo di Elisabetta. La serata rappresenta un omaggio a lei, modenese e così legata a questo teatro (che presto le sarà co-intitolato insieme a Luciano Pavarotti) in cui rischiò quasi di nascere una sera del 1935, per poi frequentarlo da giovane loggionista ed in seguito debuttarvi nel 1955, dando inizio ad una straordinaria carriera in cui non mancò di tornare numerose volte a “casa”.

©Rolando Paolo Guerzoni

Per l’occasione il cast è di prim’ordine. Nel ruolo del titolo vi è il tenore Andrea Carè, affermato tenore italiano ma che purtroppo in Italia non sentiamo spesso, uno degli ultimi allievi di Luciano Pavarotti. Il dettaglio non è certo irrilevante perché se ne ravvisano alcune caratteristiche vincenti, tra tutte il fraseggio espressivo e l’intelligente padronanza dello strumento vocale in un ruolo che non concede sconti e richiede una certa solidità. Il suo Don Carlo ha personalità e trova la giusta dimensione nei tanti momenti d’assieme in cui è coinvolto.

Il Marchese di Posa è interpretato da Luca Salsi, che anche in quest’occasione fa sfoggio delle caratteristiche migliori per cui lo conosciamo. Il bel timbro è forte di un’emissione ben controllata e si modula in un’interpretazione intensa, che nel nome di Verdi intende il canto declinato in stretta funzione del senso drammaturgico della parola, anche tendente al “truculento” quando occorre, ma sempre in grado di trasmettere appieno le caratteristiche dell’animo umano che il personaggio ha insite in sé.

©Rolando Paolo Guerzoni

Michele Pertusi, un punto di riferimento irremovibile nel panorama dei bassi, torna nel teatro che lo vide debuttare nel 1984, questa volta nei panni del Re, Filippo II. C’è poco da dire di fronte ad una performance di grande scuola come la sua, tanto sul piano musicale e tecnico quanto in quello espressivo, in cui anche senza potercelo dimostrare con costumi e movimenti scenici, l’esperienza maturata in tanti anni ai vertici contribuisce a delineare un Filippo autorevole ma al tempo stesso tormentato in dinamiche controverse.

Non meno autorevole è la personalità di Anna Pirozzi, alla sua prima Elisabetta. Delle sue grandi qualità troviamo conferma anche questa volta. Quando si ha la fortuna di possedere uno strumento tutt’altro che ordinario e si ha la bravura di saperlo utilizzare con estrema versatilità e al massimo delle sue potenzialità c’è ben poco da aggiungere. Quale occasione migliore, se non questo insidioso ruolo, per sfoggiare con musicalità tesa in funziona espressiva tutta la vasta gamma di dinamiche richieste e di cui la Pirozzi è regina: mezze voci incantevoli, fraseggio incisivo, legato, passaggi di registro omogenei, suoni in grado di espandersi fino a volumi impressionanti.

©Rolando Paolo Guerzoni

Judit Kutasi, Principessa d’Eboli, è dotata di notevole potenza vocale e di timbro profondo e corposo, caratteristiche da vero mezzosoprano verdiano che oggi non risultano particolarmente facili da trovare. Lavorando sulla chiarezza della dizione la giovane cantante potrà certamente trovare una completezza che la renderà un’interprete davvero interessante per questo repertorio.

Il cast è completato con Il Grande Inquisitore di Ramaz Chikviladze, basso di imponente “stazza” vocale e provvisto del necessario piglio “grave” a cui è richiesto di dominare il confronto con la personalità di Filippo II, dall’efficace Frate di Adriano Gramigni e dai corretti Andrea Galli (Conte di Lerma/Araldo) e Michela Antenucci (Araldo/Voce dal cielo).

L’Orchestra dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini” è diretta dal Maestro Jordi Bernacer. La sua è una lettura di grande equilibrio che non manca di far emergere bei colori e di far risaltare quelle sonorità in grado di trasmettere quelle atmosfere che la regia non può qui regalare. Il Coro Lirico di Modena contribuisce alla riuscita dello spettacolo con professionalità, preparato dal Maestro Stefano Colò.

Chiudiamo con un messaggio di speranza: che questo possa essere il primo ma anche uno degli ultimi racconti di questa rubrica su uno spettacolo a porte chiuse, affinché quell’assordante silenzio che pervade la fine di atti ed arie celebri possa presto lasciare il posto al ben più dolce e vivo fragore degli applausi del pubblico.

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